Il blues di Massimo Carlotto (Parte 2)


Un approfondimento di Noir Italiano, scritto in collaborazione con Massimo Carlotto

I romanzi dell’Alligatore (ne seguiranno altri sei) prendono tutti spunto da una situazione o da un fatto di cronaca realmente avvenuto. Questo è un fattore peculiare della produzione di Carlotto: il noir deve raccontare la verità. Se il tempo della grande inchieste giornalistiche è tramontato, vuoi per colpa delle lobby, delle querele o della perdita d’interesse da parte dell’opinione pubblica, allora tocca al noir raccoglierne l’eredità. I romanzi di Carlotto mi piacciono (pura opinione soggettiva), perché possono essere letti su due livelli differenti. Il primo è quello della semplice storia noir, denominata da uno stile asciutto, un ritmo veloce e da una scrittura che cattura. Il secondo è quello della riflessione. Carlotto non cerca di spiegare la realtà o di trovare la verità dei fatti ma lancia la cosiddetta “pietra”. Una pista, un ragionamento, un semplice indizio. Sta poi al lettore comprendere e approfondire.

Il bisogno di raccontare la realtà attraverso lo strumento del romanzo nasce dalla convinzione che questo Paese abbia da sempre un rapporto perverso con la verità e di conseguenza tutta la realtà storica sia una nebulosa e raffazzonata ricostruzione di comodo. Una percezione collettiva che distorce totalmente la capacità di interpretare il presente. Defunto il giornalismo d’inchiesta, il romanzo è rimasto uno strumento straordinario per narrare la complessità di una società in perenne trasformazione ma che è incapace di liberarsi della sua natura criminogena.

Uno dei romanzi del ciclo dell’Alligatore che più mia ha colpito è stato “Nessuna cortesia all’uscita”, nel quale il detective si trova a doversela sbrigare con la “liquidazione” della mala del Brenta da parte del capo (riconducibile alla figura di Maniero). Raccontare la storia e i retroscena del pentimento del più importante criminale veneto è una grande lezione di letteratura: con il noir è possibile raccontare la verità, anche scomoda, non solo intrattenere.

La genialità di Maniero è stata comprendere per primo la fine della mala italiana ed è il capo banda che ne è uscito, non solo senza danni, ma con vantaggi economici non indifferenti. I criminali veneti ora lavorano per le mafie tradizionali o per quelle estere, al massimo sono in grado di mettere in piedi micronuclei dediti alle truffe o allo spaccio.

Se l’argomento t’interessa allora dai un’occhiata a:

Il Blues di Massimo Carlotto (Parte 1)

Il noir mediterraneo secondo Massimo Carlotto

La verità dell’Alligatore

Il mistero di Mangiabarche

Nessuna cortesia all’uscita

Intervista a Massimo Carlotto

L’Italia e il volto noir della verità

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