Noir Italiano incontra Roberto Centazzo


Roberto Centazzo, savonese, appartiene alla categoria degli “sbirri che scrivono romanzi con protagonisti altri sbirri”. Roberto è ispettore di polizia e ha inventato la figura del procuratore della rebubblica Lorenzo Toccalossi. L’abbiamo invitato a Noir Italiano per conoscerlo meglio.

Noir Italiano: Ciao Roberto e benvenuto. Io prendo un bel calice di birra chiara, di quelle artigianali. Tu?

Roberto Centazzo: acqua, possibilmente di rubinetto, detesto le bottiglie di plastica e l’acqua minerale. Lo sai che da analisi effettuate durante un’indagine è risultato che alcune acque minerali erano peggio dell’acqua di rubinetto, piene di sostanze dannose? Comunque salute, alla nostra.

NI: Cosa significa per te noir?

RC: è un’accezione che non mi piace, indica un genere dentro il quale confluiscono troppe cose, il legal thriller, il romanzo psicologico, la spy story, il romanzo seriale, insomma un po’ di tutto, io preferisco dire che scrivo semplicemente romanzi. Il genere è una gabbia artificiosa spesso creata per incanalare una storia all’interno di una collana e renderla più appetibile, la capacità di coinvolgere il lettore e tenere alta l’attenzione e la tensione sono propri di ogni buon romanzo che sia o meno noir. Basti pensare al Simenon senza Maigret, altissimo, inimitabile. Anzi, più la trama è semplice ed esile, maggiore è la capacità di scrittura, paradossalmente la grande scrittura viene fuori laddove l’autore ci racconta il nulla.

NI: Cosa rende Savona una città noir?

RC: la sua provincialità. L’Italia è una nazione fatta di tante città provinciali simili a Savona. Prova a pensarci, quante grosse città esistono in Italia? Quindici? Venti? Tolte Milano, Bologna, Firenze, Roma, Palermo, Torino, Genova e poche altre, tutte le rimanenti sono piccoli centri di 50, 70 mila abitanti, è questa la vera Italia, quella di luoghi dove la gente bene o male si conosce. Nel mio primo romanzo, Giudice Toccalossi, indagine all’ombra della Torretta ho descritto proprio una città così, diventata emblema di tante altre città simili. La storia poteva essere tranquillamente ambientata a Cuneo, piuttosto che a Livorno o Alessandria o in altri luoghi ancora, è questo che l’ha fatta apprezzare anche fuori, il mondo della prostituzione è ovunque e sempre con le stesse forme, povere ragazze schiavizzate che si alternano ogni quindici giorni in case d’appuntamenti, mariti infedeli, che pensano di farla franca ma talvolta vengono “ingabbiati” da telefoni messi sotto controllo.

NI: Come ti sei avvicinato alla scrittura?

RC: scrivo da quando ho 14 anni e ho sempre sognato di pubblicare. Ce l’ho fatta a 46 anni, vincendo un concorso, dopo aver tentato e ritentato per 30 e più anni, durante i quali ho prodotto una decina di romanzi che ora mi sembrano veramente ignobili, ma allora li ritenevo belli. Poi con l’editore Frilli ho ottenuto larghi consensi, migliaia di copie vendute, tre romanzi pubblicati: dopo il primo sono usciti Toccalossi e il fascicolo del 44 e Toccalossi e il boss Cardellino. Alla fine, circa un anno fa, è nata un’idea. Stavo effettuando una presentazione del mio secondo giallo, Toccalossi e il fascicolo del 44 a Genova, alla Feltrinelli. Il moderatore era il giornalista de La Stampa, Fabio Pozzo, autore di diversi libri per Longanesi. Il titolo della conferenza Criminalità: tra finzione e realtà. Lo scopo quello di mettere a fuoco, con l’intervento di giornalisti, autori televisivi e magistrati, le differenze o le similitudini tra le indagini come sono e come vengono raccontate nelle fiction e nelle opere letterarie. L’interesse si è poi spostato sui rapporti tra indagini giudiziarie e inchieste giornalistiche. Quali sono i limiti dell’una e dell’altra? Quali  le loro interferenze? Da lì è nata l’idea, una sfida, un libro scritto a quattro mani, appunto con il giornalista Fabio Pozzo. Lui avrebbe curato l’aspetto dell’inchiesta giornalistica io quello dell’indagine giudiziaria. La sfida è stata accettata da un grandissimo editore, il gruppo editoriale Mauri Spagnol (Garzanti, Longanesi, Guanda, Ponte alle Grazie, Tea, Corbaccio ecc. ecc.) e il prossimo romanzo, nei primi mesi del 2013, uscirà con TEA. Sarà un romanzo scritto a quattro mani, in cui il protagonista dei miei romanzi, Toccalossi, andrà a fondersi, scontrarsi o confrontarsi con l’altro protagonista, Bussi, creato inventato e gestito da Fabio Pozzo. La caratteristica saliente, e forse il valore aggiunto del libro, è proprio questo: l’indagine giudiziaria è raccontata da me che sono un ispettore di Polizia, mentre l’inchiesta giornalistica è narrata dall’altro autore Fabio Pozzo, che oltre ad essere amico è giornalista. Il tutto si fonde in un romanzo che pur essendo un prodotto di fantasia ha forti attinenze con la realtà e, soprattutto, fatto di cui siamo orgogliosi, rispetta fedelmente le tecniche e le procedure dell’una e dell’altra attività, quella “poliziesca” e quella “giornalistica”. Non mancheranno le sorprese.

NI: Come nascono le tue storie? Parti da una scaletta precisa oppure ti lasci guidare dalla scrittura?

RC: Non ho mai fatto una scaletta, quando decido di scrivere un romanzo non so assolutamente cosa scriverò, né quale sarà la storia, scrivo di pagina in pagina e le storie si sviluppano da sole, i protagonisti a poco a poco prendono forma, così diventa affascinante e meraviglioso scrivere perché sono io il primo a stupirmi per qualche trovata e/o qualche colpo di scena che nasce all’improvviso. Devo dire che questo sistema, nella stesura a quattro mani, provoca un po’ di “stridori” certo non è facile, ma con l’amicizia e qualche sana litigata si supera tutto.

NI: Un noir è anche verosimiglianza. Come ti documenti per scrivere un romanzo?

RC: Per scrivere gialli non mi documento affatto. Sono in Polizia da 25 anni, undici dei quali trascorsi in Procura, ho fatto indagini di ogni genere, ho una laurea in giurisprudenza e ho fatto pratica legale, sembrerà antipatico ma conosco le procedure, la storia la invento. Come dicevo prima per i romanzi scritti da solo non c’è problema, per quelli scritti a quattro mani basta invece una telefonata, io e Fabio Pozzo sappiamo in linea di massima quale sarà l’argomento, poi la storia si sviluppa via via, io amo dire che prendiamo la mira in corsa, non credo sia possibile mettere a fuoco un romanzo finché non è finito, è come un vaso d’argilla che cresce a poco a poco. Anzi io amo le sbavature, gli errori, le strade sbagliate che non portano a nulla, poi via, si cancella, si riscrive, si ragiona, alla fine tutto torna, ma credo che sia un po’ un miracolo. Comunque a rimettermi in riga, nei libri scritti a quattro mani, quando sforo ci pensa Fabio. Una bella strigliata e via. Torno subito in carreggiata.

NI: Scerbanenco e Simenon, per dirne due proprio terra a terra, odiavano la fase seguente a quella creativa, ovvero la rilettura e la correzione. Tu come affronti la cosa?

RC: odio correggere i miei libri, lo lascio fare a mia moglie e a mia cognata. Quando per me è finito, se c’è una virgola sbagliata o una data da correggere che sarà mai? Un lettore esterno se ne accorge meglio, evidenzia l’errore. Ma credo che un po’ tutti facciano così.

NI: Il tuo libro racconta di poliziotti. In un mercato noir pieno di commissari, marescialli, tenenti, medici legali ecc…in cosa vorresti differenziarti?

RC: Chi ha letto i miei libri sa qual è la differenza. Sono tutti raccontati attraverso i pensieri del magistrato che indaga che sono lì, in primo piano, il lettore può vederli mentre si formano nella testa del protagonista. Così si svelano i modi in cui prende forma la tela di ragno verso il presunto colpevole. Ma c’è di più. Io avrò letto sì e no cinque gialli in vita mia. Adoro altre forme narrative, come la fantascienza o il romanzo non di genere. Adoro Garcia Marquez, Joyce, Proust e tutti quegli autori che sberleffano la punteggiatura, che adottano la tecnica poi definita “flusso di coscienza”. Talvolta mi lascio prendere la mano e in questi pensieri di Toccalossi, mi concedo due o tre pagine, senza un solo punto, un unico pensiero pieno di divagazioni e digressioni. Tra l’altro i lettori apprezzano. Dalle mail che ricevo mi sono fatto l’idea che della trama importi poco. Spesso è soltanto un pretesto per raccontare altro. Io poi avevo un sogno, che appunto mi ha condotto a una sperimentazione durata oltre trent’anni: scrivere romanzi che fossero contemporaneamente raccontati in prima e in terza persona, al presente e al passato. Ci sono riuscito.

NI: Ti ringrazio. Regalaci una frase noir.

RC: uomini si nasce, sbirri si diventa. Il difficile è rimanere uomini anche dopo. È li che si devono avere le palle. È abbastanza noir?

Ciao e grazie. Ro

Se l’argomento t’interessa, allora dai un’occhiata a:

Intervista a Carlo Frilli, della Fratelli Frilli editore

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